In via Taverna - proprio di fianco al centro per la promozione
patriottica Italia, per Cristo - ha da poco aperto i battenti un nuovo
ristorante multiculturale cino-germanico. La muraglia bavarese si
presenta, già dal suo nome, con un insolito mix tra estremo Oriente e
profonda Baviera.
L’ambiziosa architettura dell’ingresso è composta da due massicce
colonne a forma di dragoni, che stendono tra le grinfie la bandiera a
scacchi bianchi e azzurri tipica della regione tedesca.
All’interno l’arredamento soddisfa le aspettative che si creano
all’entrata. Lunghe tavolate di legno d’abete sono affiancate da robuste
panchine del medesimo materiale e, come da tradizione, vi potrebbe
capitare di condividere il desco con altri clienti. Alle pareti spiccano
grandi arazzi raffiguranti nobili della dinastia Ming, e quadri di
grandi foreste di bambù. Il locale si compone di tre sale divise da
eleganti paravento in carta di riso.
Il personale che si occupa di tutto il servizio è vestito di una
lunga vestaglia di seta rossa, che copre una salopette corta di fustagno
marrone. Ai piedi scarponi rigidi, con l’attacco automatico per i
ramponi da ghiaccio.
Sono da provare nel menu: gli involtini primavera ripieni di
crauti, i canederli di fegato al curry e germogli di soia, i brezel alla
cantonese, i ravioli al vapore con salsiccia di maiale, lo stinco misto
caldo con nuvolette di gamberi, la Sacher torte fritta in pastella e la
coppa Monocina con marmellata di nespole. Se proprio non gradite
l’acqua, potrete trovare una birra miscelata fatta con la pils HB e la
Tsingtao. La cantina è, invece, un luogo vuoto e umido dove si tengono
la scopa e il mocio.
Purtroppo non tutti hanno la sensibilità per apprezzare l’estro
creativo dello chef Adolf Chan. “Provatelo se volete togliervi la
curiosità su che sapore possa avere il contenuto del sacchetto dei
rifiuti”, dice Annibalo Trivulzio sulla rivista culinaria Infornalo.
“Mandateci un amico. Quando perde una scommessa”, consiglia Armande
Parmantier su Enjambement, il giornale francese di cucina interrotta.
Ancora, Giorgio Teroldego ammonisce, nella sua rubrica dedicata ai vini e
al traffico Imbottigliati: “Se vi piace quel posto vi tolgo dagli amici
di facebook”. Ultimo, ma non di minore importanza, il critico Antonicco
Sgarrapazzi sul periodico di cucina minimalista Nutriti: “Questo locale
mi ricorda i profumi di quando i miei genitori mi portavano a passare
l’estate dai nonni. Ma io odio i cimiteri”.
Marco Murgia nasce all’ospedale di Ponte Dell’Olio, il
quale, reo di aver permesso questo, nel giro di pochi anni viene chiuso e
convertito in una clinica riabilitativa. Per vendicarsi di quest’antica
vicenda, Marco si laurea in psicologia con una specialità
neuropsicologica e inizia un periodo di praticantato proprio tra quelle
stesse mura, animando dall’interno rivolte sovversive, scambiando i
referti radiologici e togliendo il tonno dai tramezzini preparati per
l’ufficio amministrativo. Ora, conclusa la sua vendetta, si occupa di
psicogeriatria. Irriducibile giocatore di calcio a cinque, appassionato
di montagna, quando non può farne a meno scrive anche dei racconti. Il
suo ultimo lavoro è la raccolta “I fratelli Ammazzatempo” (ed. Creativa,
2013).
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